Dalla Grande Guerra la Redenzione giuliana Vittoria conquistata per volontà di popolo - di Bepi Nider

«Come se fa la polenta coi pomi e che gusto la ga? Ve spiego: se ciol i pomi, se li neta, se i xe un fiatin marsi no cori andar tropo pel sotil co tira bava de levante, come dir col stomigo protesta, se li meli con tanta acqua in una caldiera de rame impicada ala cadena del camin e, quando che i ve deboto in papa, se li coverzi con farina giala e se rnissia, se missia e se missia fin che el comio suda, pò se servi l'impasto. Chi che vol che magni e chi no, che cori». Che bona che la fiera la polenta con quel dolsin dei pomi, per mi! Passada la stagion dei pomi, minestra de verdure chè quele se le trovava bastava sercarle per i te-reni incolti, minestre condide con una lagrima de oio o un fiatin de pesto, roba comprada dai strossini, e, se capissi, fruti de mar che no gaveva bisogno de condimento. Finalmente il grano! Tutti a mietere con ogni strumento tagliente; tutti a separare le spighe dalle erbacce e poi a batterle... E pur vero che il bisogno aguzza l'ingegno. Nessuno della famiglia aveva mai fatto il contadino eppure... Con un grande macinino che qualcuno aveva prestato alla nonna, a turno, si macinavano i chicchi ed ecco il pane, nostro, tutto nostro! La nonna confezionò con tutta la crusca, sotto una vecchia pentola coperta di calda cenere e brace. Noi, seduti attorno in religioso silenzio, attendevamo, incuranti del caldo, che si compisse il miracolo. Profumo indimenticabile! Chissà che cosa mangiavano i soldati in guerra? No, no in guerra, al fronte, perchè in guerra c'eravamo anche noi, e tanto più lo fummo quando nel mese di settembre, mentre continuava il ritorno dei fuggiaschi e le cittadine si rianimavano, si scatenò un'offensiva da parte di un nemico che non guardava in faccia nessuno e investi città, paesi, campagne: l'epidemia cosiddetta «spagnola». Milioni di morti in Europa senza distinzione di bandiere, di lingue, di religione. L'origine, la causa di questa epidemia furono argomenti di studio, di dibattiti, di ricerche per molti anni dopo la guerra. Di epidemie influenzali troppe ne abbiamo avute da allora, ma la scienza medica ha fatto passi da gigante, nuovi medicinali sono alla portata di tutti e poi, fondamentale, vi è cibo, nutrimento, vitamine. La spagnola visitò anche la nostra casa e ce la prendemmo tutti, persino la nonna che credevamo di ferro. Forse il più mal conciato ero io, il piccolino. I primi a guarire, fortunatamente, gli zii addetti alla sussistenza. Il pane non mancava e neppure lo zucchero, ma di troppe cose hanno bisogno gli ammalati ed i convalescenti. Per fortuna tutti eravamo giovani anche la nonna che aveva appena 53 anni e consideravamo vecchia. Oggi una donna di quell'età è da gustarsi come il «Vin Santo» di Toscana. Un pomeriggio, pallidi pallidi, ce ne stavamo nella grande soffitta ad ascoltare le allegre chiacchiere delle inquiete lingue di fuoco che si levavano al centro del «fogoler» e ad attendere i rifornitori. Nella grande casa dalle scale di legno, cinque rampe e ripide per arrivare in soffitta, c'era una gran silenzio. Ad un certo momento si sente un passo piuttosto pesante: qualcuno saliva fermandosi ad ogni pianerottolo. Chi poteva essere? Perchè si fermava sui pianerottoli dove si aprivano le porte di due cucine e di diverse camere? Tutti tacevano ma tutti si ponevano le stesse domande. Ricordo che mi alzai e mi avvicinai a mia madre. Stranamente la nonna non disse una parola né mosse un passo. La porta si apre scricchiolando un pò, è vecchia. Una mano sulla maniglia, nell'altra un fagotto, uno zaino sulle spalle, nel riquadro, un uomo in divisa di soldato austriaco fissa tutti e piange. Un grido: «Fejt, mieio!» E la nonna gli si stringe addosso e lo stringe in un abbraccio disperato. Era mio zio Matteo, classe 1898, che fin dal 1915 era stato mobilitato dall'Austria, quando già era nel campo fuggiaschi di Ma-ho in Ungheria, per lavoro e dal lavoro era finito al fronte. Mai nessuna notizia di quel ragazzo. L'avevano inviato in licenza ed egli, senza sapere se la sua famiglia fosse rientrata a Rovigno, aveva chiesto di andare al paese natio e ci aveva trovati. Mi ricordo che mi venne vicino, mi baciò e mi mise in mano due dolcetti lunghi e sottili come sigarette variamente colorate. All'imbrunire rientrarono i vivandieri con le solite provviste. Grande fuoco, donne indaffarate, acceso il lume a petrolio che pendeva dalle travi affumicate più uno a mano sulla credenza: quella sera non si sarebbe andati a letto come le galline. Su tutto dominava il profumo del pane nero, «pan brun», in rovignese. In quelle ore, in quella quindicina di giorni che lo zio rimase con noi in casa si dimenticarono Wagna, il freddo, la fame e tutti i guai passati né si pensava che c'era ancora la guerra. Ma come c'era la guerra! I francesi, metro dopo metro, continuavano la contrastatissima offensiva; gli italiani preparavano la loro pur non cessando le azioni di disturbo, anche pesanti, ricambiate dal nemico con energia, tanto da sferrare attacchi nelle Giudicarie, nelle retrovie dell'Altipiano di Asiago, alle Grave di Papadopoli. Attiva l'aviazione che praticamente ha il dominio del cielo. In Albania gli austro-bulgari trovano ancora l'energia di attaccare in forze le truppe alleate. La lotta è aspra su aspro terreno. Anche reparti di nostra cavalleria prendono parte alla battaglia mentre squadriglie di aerei britannici effettuano micidiali bombardamenti nelle retrovie. Durante la notte del I' settembre dirigibili dell'Esercito e della Marina colpirono le opere militari di Pola e la stazione. Bollettino del 2 settembre: «...Una poderosa squadriglia nazionale, portatasi ad oriente della Livenza, bombardò con visibili risultati un campo d'aviazione nemico. Numerosi apparecchi avversari, levatisi in caccia, vennero affrontati e dispersi dai nostri velivoli di scorta». E Pola continua ad essere soggetta ad incursioni aeree come riferisce il Bollettino del 20 settembre: «...Una nostra squadriglia colpì con oltre una tonnellata di bombe l'arsenale di Pala, i cantieri e i depostiti di Scoglio Ulivi, ottenendo risultati». Confetti rispetto a quello che sarebbe piovuto sulla nostra città una ventina e poco più di anni dopo. Intanto in Albania e Macedonia il nemico lentamente si ritira. Il 29 settembre la Bulgaria è costretta alla pace, ma gli austriaci e gli altri alleati (turchi) tengono ancora duro. Bollettino del 16 ottobre: «Albania Nella giornata del 14 le nostre truppe hanno occupato Tirana». Tutto qui il Bollettino di quel giorno. L'autunno si annuncia piovoso. Il maltempo imperversa sul fronte italiano, tuttavia alpini ed arditi non cessano i loro attacchi di sorpresa e non danno tregua al nemico. Altre bombe su Pola, nonostante il maltempo, il 23 ottobre. Ormai prende consistenza l'offensiva italiana. Si trovano di fronte 51 divisioni italiane, tre inglesi, due francesi, una cecosìovacca ed un reggimento americano contro 73 divisioni austro-ungariche. Dal 23 ottobre il fuoco delle nostre artiglierie, che il giorno prima si era mantenuto piuttosto sensibile su tutto il fronte, si è intensificato nella regione del Monte Grappa. Reparti francesi penetrano nelle posizioni nemiche del Monte Sisemol, ne sopraffanno il presidio dopo violenta lotta e riescono a catturare una ventina di ufficiali ed oltre seicento soldati; gli inglesi non sono da meno a sud di Asiago. Nel Bollettino del 25 ottobre Diaz comunica: «Aspri combattimenti si sono svolti nella mattinata di ieri nella regione del Monte Grappa. Nostri reparti, malgrado la pioggia dirotta sopravvenuta, attaccarono risolutamente alcuni tratti delle formidabili posizioni avversarie. Il nemico che oppose accanita resistenza subì perdite rilevanti». I prigionieri si cominciano a contare a migliaia. Sul Grappa continua violenta la battaglia. Bollettino del 26 ottobre: «Nella regione nord-occidentale del massiccio del Grappa i combattimenti ripresi all'alba sono continuati l'intera giornata...» La lotta accanita sul Grappa durerà fino alla sera del 29 ottobre quando il nemico, esausto, si ritirerà inseguito dalla valorosa IV armata (gen. Giardino) che libererà Feltre. Lo stesso Bollettino del 26 ottobre comunicava: «Albania ...Bande albanesi, alzata la nostra bandiera, hanno preso le armi in nome dell'Italia contro gli austriaci infliggendo loro perdite rilevanti.» (Quando si dice la storia!). Bollettino del 27 ottobre: «...Sul medio Piave l'attività combattiva è grandemente aumentata; nella giornata di ieri venne completato il possesso delle Grave di Papadopoli... Gli aerei nostri ed alleati spiegarono molta attività eseguendo poderose azioni di bombardamento delle retrovie nemiche e mitragliando ripetutamente truppe in posizione e in marcia. Dieci velivoli avversari furono abbattuti in seguito a combattimenti aerei». Eccezion fatta per la caduta del maggiore Baracca e di qualche altro aereo abbattuto, la nostra aviazione, secondo i bollettini, non avrebbe riportato altri danni mentre aerei e palloni frenati del nemico sarebbero stati abbattuti a centinaia se non a migliaia e lo stesso vale per i prigionieri, i caduti ecc, ecc. «Sic ab hominibue veritae subministratur», cosi dagli uomini viene somministrata la verità. il 26 ottobre un ragazzo di vent'anni, giovane di età ma veterano di guerra, non vuol rientrare al suo reparto, vuol disertare. Zio Matteo (Matiusso in rovignese) ha ritrovato il calore della famiglia, povera si ma ricca di affetti, la famiglia che gli era mancata per oltre tre anni. E la madre, mia nonna, e le sorelle a scongiurarlo di partire perché i gendarmi sarebbero venuti a prenderlo e se si fosse nascosto l'avrebbero cercato e per i disertori... Matteo, duro. Lo sostengono i fratelli giovani mentre Piero, l'inabile alla guerra, tanto per cambiare, non parla. Tanto dicono e tanto piangono nonna e sorelle che Matiusso parte. £. il 26 ottobre! Nove giorni dopo ci sarebbe stato l'armistizio e nella nostra grande soffitta contentezza per la fine della guerra e disperazione e sospiri per aver convinto lo zio a partire; e dove el sarà? Lo gavemo man-dà a morir, podevimo sconderlo... Del senno di poi son piene le fosse. Bisogna dare atto agli austroungarici di una resistenza disperata che si protrarrà fino all'armistizio. I reparti d'assalto austriaci, formati in prevalenza da bosniaci e croati, fedeli tra i fedeli dell'Austria, gareggiano in valore con i nostri arditi operanti nel corpo delle Armate che, nonostante la piena del Piave e i ponti fatti saltare dal nemico, superano ogni ostacolo e attaccano, attaccano senza respiro. I Bollettini sono argentei squilli di chiarine. Il 29 ottobre Diaz emana due comunicati, l'uno riguardante le vittoriose operazioni sulla caparbia resistenza del nemico durante il giorno, ed uno alle ore 20 per annunciare la liberazione di Valdobbiadene, S. Pietro di Barbozza, Farra di Sol igo, Collalto, Conegliano. I prigionieri sono tanti che deve sostenere una battaglia con i numeri e il tempo chi, nei vari settori, deve contarli; lo stesso vale per le armi di ogni tipo. All'alba del giorno 30 una colonna celere di cavalleria e di ciclisti occupa Vittorio Veneto dividendo in due tronconi l'esercito austriaco. Il 31 ottobre si sparge la notizia che i Turchi, battuti in Mesopotamia e Palestina dall'esercito inglese validamente aiutato dagli insorti arabi, hanno chiesto l'armistizio. Quello che non era riuscito il 14 maggio al «barchino» d'assalto «Grillo» della marina italiana, cioè di superare le ostruzioni del porto di Pola, operazione conclusasi con l'affondamento del mezzo per opera del comandante Pellegrini e del suo equipaggio, riuscì nelle primissime ore del mattino del Io novembre, esattamente alle ore 5 e 45, a due ufficiali, sempre della marina, il maggiore del genio Raffaella Rossetti ed il tenente medico Raffaele Paolucci, i quali trascinando con sforzo sovrumano due torpedini, le collocarono sotto il bagnasciuga della più potente corazzata austriaca, la «Viribue Unitis»; compiuta l'operazione, salirono sulla nave al grido di «viva l'Italia» per dare l'allarme perchè l'equipaggio potesse salvarsi. Stilla nave non sventolava la bandiera austriaca perchè, presi accordi con gli uomini più in vista di Zagabria che, in attesa dei trattati di pace, avevano costituito un governo provvisorio, l'Austria «Con Risoluzione Sovrana» aveva ceduto l'intera flotta alla Jugoslavia (in realtà alla Croazia perchè la Jugoslavia come tale doveva ancora nascere). In base a questa «risoluzione» il comandante della flotta austriaca, ammiraglio Hortà (poi reggente d'Ungheria), inviava a tutte le basi marittime dell'Austria, da Pola a Cattaro, un radiogramma che tradotto in italiano suonava cosi: «Giusto ordine imperiale consegno la flotta con il suo materiale e le provviste al delegato del Consiglio Nazionale Jugoslavo e metto il mio comando nelle mani del comandante da esso Consiglio nominato, Janco Vucovich. il Consiglio Nazionale invita tutti quei signori ufficiali ed impiegati che lo desiderano di continuare il loro servizio nella marina da guerra jugoslava a condizione che rimangano fedeli a questa e s'impegnino di parlare la lingua serbo-croata.» Ogni commento mi pare inutile. Personalmente vedrei la «risoluzione sovrana» come ultimo atto di riconoscenza verso un popolo che per secoli aveva servito fedelmente la monarchia ed il suo potere assoluto. Su tutti i fronti prosegue l'avanzata. Prigionieri e cannoni non si contano. Diaz emette fino a tre bollettini nello stesso giorno. Man mano che si avanza vengono liberati a migliaia i prigionieri italiani. Il Tagliamento è raggiunto. Spi limbergo e Cordenone sono liberate dalla cavalleria. Ottimo il comportamento dei reparti alleati che gareggiano in spirito combattivo con i nostri migliori reggimenti. Laconico Bollettino del tre novembre: «Le nostre truppe hanno occupato Trento e sono sbarcate a Trieste. Il tricolore sventola sul Castello del Buon Consiglio e sulla Torre di San Giusto. Punte di cavalleria sono entrate in Udine.» A questo laconico fa seguito lo storico Bollettino del 4 novembre: «La guerra contro l'Austria-Ungheria... I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. — Armando Diaz». Nei giorni successivi l'esercito procede fino a raggiungere quanto statoilito nelle clausole dell'armistizio. Il 10 novembre il Re rivolge un esaltante proclama ai soldati di terra del mare e del cielo. Lo stesso 10 novembre il Maresciallo Diaz comunica: «Le nostre truppe avanzano verso il Brennero, in Val dell'Isarco; hanno occupato Toblacco, nella Pusteria, e proseguono verso oriente nella Venezia Giulia. Nella giornata di ieri nessun avvenimento di guerra.» L'I I novembre, genetliaco del Re, Diaz traccia tre brevi comunicati, il Primo: «Nostre truppe hanno raggiunto il Brennero. Le operazioni per accertare il numero dei prigionieri e dei cannoni catturati nella battaglia dal 24 ottobre alle ore 15 del 4 novembre, sono tuttora in corso. Finora è stato possibile contare 10.658 ufficiali, 416.116 uomini di truppa, 6818 cannoni». Secondo comunicato — L'armistizio con la Germania — Parigi I l novembre: «L'armistizio è stato firmato alle é di sta-mane. Le ostilità sono state sospese alle ore l I ». Uomo Bollettino: «In seguito alla firma dell'armistizio con la Germania, le operazioni di guerra sono state sospese su tutte le fronti alle ore I1 di oggi 11 novembre.» La prima grande guerra era finita; le armi tecevano e cominciavano ad agitarsi le toghe: «cedant arma togae». Bepi Nider

Dal numero 2565

del 19/11/1988

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