- Elio Predonzani
Chi non è vissuto in campagna, difficilmente può immaginarc che cosa significhi la pace spirante dalle cose Ma ben lo comprendeva e se lo diceva il viandante che net tempo precedente la Pasqua vagava per le strade e per i sentieri dell' Istria.
Lungo i fossi i salici erano contrappuntati di gemme argentee; nelle vigne vera qua e la in brillio delle canne secche toccate dal sole; ogni tanto si cntrava in un'aria profumata di viole e l'effluvio saliva e si rinnovava dal folto dell'erba ancora in parte ingiallita delle ripe solatie; la brezza fresca delle zone in ombra diventava improvvisamente intiepidita quando s'entrava nella luce ed era come se lei stessa ti levasse cappello e ti aprisse, soprabito, mentre ti si dipingeva nella immaginazione un volar di vele sul mare. Dai borghi venivano ancora suoni di campane: tra qualche giorno sarebbero cessati e non si sarebbero risvegliati che al s gloria » del Sabato Santo. Veniva la Domenica delle Palme e vedeva la chiesa maggiore trasformarsi in un bosco oscillante di olivi.
Cominciava la Settimana di Passione.
Sempre piu frequenti comparivano nelle strade visi inconsueti, abiti belli, persone che portavano in giro nell'abbigliamemo una ricercatezza Festiva e net tratto un'aria strapaesana. Erano studenti che giungevano dalle scuole della citta, soldati venuti in licenza dai reggimenti, giovani donne cui ii matrimonio. aveva assegnato una nuova patria, gente che lavorava lontano e ritornava tra i suoi, per esservi nei giorni in cui sedendo a mensa si rinnovava rito dei legami del sangue e si riconfermava fedelta alle tradizioni.
Da per tutto era, nelle case, nelle persone, nella vita, un qualche cosa di nuovo, che si ripeteva e si era ripetuto ogni anno, ma pareva sempre diverso e inaspettato.
Ho conosciuto pochi luoghi nei quali si illustrassero le tappe della vita di Gesù cosi realisticamente come a Buie, giovandosi di un apparato scenografico quasi teatrale. Ciò avveniva gia con il Presepio, che aveva le figure grandi ed occupava una vasta area cosparsa di pasto:i e di greggi, e verso quale — dall'alto della parete dell'unica navata — scendeva, ogni giorno un po', su una lunga strada fra palme e paesaggi. biblici, la carovana dei Remagi che sarebbero arrivati, con i Toro cammelli ed i servi ed i buoni dinanzi alla grotta, all'alba dell'Epifania.
Ancora più realistica c teatrale, quasi una sacra rappresentazione, era la celebrazione figurano della vicenda della passione, della morte, della resurrezione del Redentore.
Tra In croci la chiesa ne possedeva.una sulla quale si inchiodava un Cristo dalle braccia snodabili. L'Uomo Dio era stato messo in croce ed esposto. Ma alla sera del Venerdi Santo, quando secondo l'uso veneto— si doveva svolgere processione che avrebbe ricordato la sua deposizione c la sepoltura, ecco che it corpo santo veniva realmente levato dal luogo di tortura. Le braccia gli venivano allungate sui fianchi, si disponevano in una lettiga, e questa era portata a percorrere le vie del borgo tra le preci ed i canti, tra l'illuminazione delle case e i concerti funebri della banda.
Una fiumana di luci si moveva con ritmo lento e uguale, poi sostava, poi riprendeva ed fluire, lungo le vie parate, dalle finestre, con tappeti e con trine. Luci di fanali portatili, di torte, di candele s'infittivano, si diradavano, parevano raggrupparsi e volersi concentrare in un punto, si affiancavano a due a due, si mettevano in teorie lineari, come le calli, le vie, i larghi, le piazze imponevano, come i portatori acceleravano o ritardavano nell'andatura. E si rinnovavano, si esaltavano, si spegnevano i brillii delle dorature agli attrezzi sacri, ai paramenti sacerdotali.
La processione finiva net duomo, donde era partita. La lettiga spariva dietro it sepolcro che era stato innalzato, nell'angolo destro della navata, appoggiandolo alla balaustra del presbiterio.
In questo momento tutu gli sguardi erano rivolti all'arca incoronata di luci, con la parete di vetro, dietro la quale una tenda violacea nascondeva la vista dell'interno.
I fedeli ripensavano a Francesco d'Arimatea e a Nicodemo che depongono it corpo santo nell'arca. Ed infatti la tenda violacea cadeva, e Gesù appariva disteso net sepolcro (non più quello relativamente piccolo che era stato tolto dalla croce e portato in processione), grande al naturale, pallide le carni, sereno il volto divino.
I bimbi sgranavano gli occhi innocenti, si assiepavano versa i banchi che formavano riparo alla zona del sepolcro. Le donne stavano ginocchioni. Anche i più spregiudicati si sentivano presi da un che di ineffabile, commovente e dolce insieme. Da quel punto sarebbero sfilati ad inginocchiarsi in adorazione davanti all'arca bimbi, ragazzi, donne ed uomini. Il passe intero sarebbe passato a guardare oltre il vetro, nella luce blanda e suggestiva creatavi da una serie di lumini ad olio, che rendeva quasi diafano, etereo, giovine giacente, dal viso bellissimo. Ed egli parevá davvero immerso net breve sonno della morte, net presentimento della resurrezione.
Giungeva Fora della sacra funzione che sarebbe culminate con il Resurrexit ».
Un'altra rappresentazione doveva svolgersi allora dinanzi alla gran folla che avrebbe riempito ogni angolo della chiesa. Nel medesimo istante il sepolcro sarebbe rimasto vuoto (perché il corpo giacente di Gesu si sarebbe fatto scivolare a sparire in basso), mentre da dietro il sepolcro sarebbe salito (ne cigolio delle carrucole sarebbe stato avvertito dai bimbi in estasi) il Gesù vivo, con la bandiera spiegata in pugno, circondato da una piena delle risse di raggi ottenuti con serie di pietre sfaccettate e illuminate per trasparenza. un Gesù ancora una volta in grandezza naturale. Egli saliva al centro della gran raggera dei fulgori, a campeggiar sull'alto della navata. A render più forte l'illusione, rimaneva tra it sepolcro e il Redentore saliente un nembo di nubi. Le volte risuonavano di organo e di cori, tiene dell'Alleluia ».
* *
Per altro modo mi è rimasto impresso il Venerdi Santo di Pirano.
Anche qui la processione si svolgeva sulla sera, iniziandosi dopo it tramonto, per finire a none fatta.
Nella piazza Tartini era stato cretto il Calvario. Una costruzione di legno, grigia con ombre scure, dalla quale emergevano delle tre croci. Le scale per satire sul sommo erano mascherate nell'impalcatura.
Chi non prendeva parte al corteo funebre e rimaneva giù nella piazza ad attendere l'arrivo della lunga teoria dei portatori di attrezzi, delle confraternite in cappa, degli oranti, assisteva allo spettacolo del nastro luminoso che si snoda. dall'alto ingigantendo man mano che si avvicinava e abbassava.
Ma forte uno spettacolo ancor maggiore si offriva a chi dall'alto del muro che chiude l'ultimo tratto di salita al duomo, vedeva la citta ai suoi piedi, con la luminaria delle case a rompere il buffo della notte, con l'ideale via lattea della processione che lenta girava, tra canti, rimpicciolita dalla distanza, intorno alla montagna del Calvario.
Altrimenti, ma non meno suggestiva, la Processions degli ori di Capodistria.
Gli ori recati dai sacerdoti quelli delle dorature magnifiche dei faraglioni e degli altri numerosi attrezzi, concorsi al Duomo dalle vane chiese e confraternite, vi avevano dato il nome.
Ma poi, a renderne ancor maggiormente appropriato l'attributo, concorreva la speciale illuminazione ad olio che con vivo senso d'arte, anche se nel più semplice dei modi, veniva effettuata, specie nella Piazza del Pretorio e nella Piazza da Ponte.
Si mettevano insieme centinaia di valve e di conchiglie di molluschi (carusoli, mitili e altri). A distanze uguali, tuttavia vicini uno all'altro, venivan fermati con un po' d'argilla umida sulla linea architettoniche del duomo, della balaustra della scala esterna del Pretorio, della Fontana da Ponte, della Porta della Muda, e su altri palazzi ed altre costruzioni ancora.
Ogni valve conteneva una goccia d'olio, sulla quale veniva posto a galleggiare lo stoppino, non altrimenti di come si faceva un tempo con i lumini in bicchiere nelle camere delle mammine.
Ardevano i cento e cento lumini e spandevano ognuno la sua debole ma calda Luce giallorossastra. Proprio una luce di oro. E i palazzi se ne vestivano, se ne vestivano gli arazzi e i tappeti penzolanti dai poggioli, dai balconi, dalle verande, dai ballatoi, dalle finestre. Se ne vestiva la processione che passe va interminabile tra due ali di popolo accorso per senso religioso — anche — ma pure chiamato dal desiderio di godere di questo inimitabile spettacolo. E corriere da paesi vicini e vapori da Trieste facevano corse speciali, riversando nella piccola graziosa citta di Sauro una vera marea di gente. Questa sera capodistriana è stata descritta centinaia di volte. Non c'e istriano o triestino che non ne abbia letto od udita parlare. Non e quindi il caso di ripeterci.
Non posso che fare a meno di ricordare uno degli ultimi anni della nostra breve redenzione, quando potei godermi tutto lo svolgimento della celebrazione nella Piazza del Pretorio, da una finestra del Municipio, quasi di faccia alla porta spalancata del duomo.
Il marmo del pavimento del la navata centrale rifletteva le luci interne della chiesa ed essa gli dava, con il Bianco delle pareti dei pilastri, una tonalità argentata. Vi era alcun che di prezioso e di brillante in quella luce incorniciata dal gran portale.
All'ingiro, sul selciato, sui palazzi, a contrasto con la placida e ferma luce argentea, vi era il brillio dorato, caldo e mobile, della luminaria, che sembrava nata e alimentata dagli stessi marmi delle vecchie pietre, soma do esse per un incanto, in attesa del corteo ricco di fulgori, quando sarebbe apparso il vescovo con la corte del clero quando tutta un'altra onda di luci sarebbe venuta ad accrescerne, a rendere fantasmagorica,la visione.
Elio Predonzani