PORTACARTE Italiani in Istria - foto

Didascalia: Gruppo di dipendenti del Comune di Pola prima della guerra in una foto ricordo di Poso Sul Giornale d'Italia del 13 luglio 1968 apparve questo articolo di Osvaldo Ramous, ancora attuale. Da più parti si è detto, anche con dichiarazioni ufficiali, che i buoni rapporti tra Italia e Jugoslavia si svilupperanno grazie anche al contributo delle due minoranze, cioè del gruppo linguistico italiano rimasto nell'Istria e a Fiume, e di quello sloveno della zona di Trieste e Gorizia. Sta bene. Tutti desiderano che le minoranze siano, anziché il classico pomo della discordia, l'anello di congiunzione tra due popoli e tra due paesi. Ma come si può realizzare questo desiderio? Anzitutto è necessario mettere in chiaro che i gruppi linguistici di minoranza non esistono per avere una funzione, e che nessuno può fissare per essi dei compiti. Se mai, si potrà incoraggiare e favorire una tendenza spontanea. Si tratta di frammenti di popolazione rimasti in una posizione irregolare, staccati dal popolo col quale dividono la lingua e la cultura. Posizione piuttosto scomoda che, appunto per questo, richiede dei riguardi speciali ed esige dei particolari diritti, i quali ristabiliscano, almeno in parte, certe normalità di vita sconvolte dagli eventi storici. Quando poi ci sono due gruppi linguistici che si trovano l'uno di fronte all'altro dalle due parti di uno stesso confine, c'è un principio abbastanza semplice per avvicinarsi il più possibile alla normalità e alla giustizia: quello della reciprocità. Se si desidera che due minoranze contribuiscano alla comprensione tra due popoli, è chiaro che si dovrà anzitutto eliminare ogni differenza dì trattamento, ogni dislivello, ogni eventuale ragione di deludenti confronti. Perché una certa parità di diritti si verifichi nelle condizioni delle minoranze che si trovano dalle due parti del confine italo-jugoslavo, c'è da fare ancora molta strada. E' stato già rilevato in altre occasioni che mentre in Italia la principale e più influente organizzazione della minoranza slovena di Trieste, cioè la «Slovenska kulturno gospodarska zveza» (Unione culturale economica slovena) non è legata a nessun partito o potere politico italiano, l'unica organizzazione della minoranza italiana della Jugoslavia, cioè l'«Unione de gli Italiani dell'Istria e di Fiume», è stata dal momento della sua fondazione ad oggi, presieduta e diretta sempre da membri del partito comunista, i quali, per questa stessa ragione, sono vincolati a un preciso compito politico. E ciò accade, si badi bene, nonostante il fatto che nemmeno l'uno per cento degli istriani di lingua italiana sono membri del partito e che molte altre istituzioni, anche importanti, della Jugoslavia non sono più, di regola, presiedute e dirette da uomini politici. In seno all'«Unione degli Italiani» le elezioni delle cariche direttive avvengono tuttora (lo si è potuto verificare nello scorso febbraio) con un sistema antidemocratico e con una partecipazione addirittura irrisoria di elettori. Ora è da rilevare un altro fatto, non altrettanto importante, ma certo non privo di significato. Quest'anno, dalle due parti del confine italo-jugoslavo si stanno svolgendo due celebrazioni: quella per il cinquantenario dell'unione di Trieste all'Italia, e quella per il venticinquesimo anniversario dell'unione dell'Istria alla Jugoslavia, proclamata nel '43 dalle forze partigiane. Entrambe le celebrazioni, osservate dai due punti di vista, si presentano inquadrate nella logica delle cose. E' ovvio, infatti, che gli italiani da una parte e gli jugoslavi dall'altra, ricordino e celebrino, ciascuno per ragioni proprie, i due avvenimenti. Ma non è altrettanto ovvio che, mentre a Trieste l'«Unione culturale economica slovena» si astiene, almeno a quanto risulta fino a questo momento, dalle celebrazioni italiane, l'«Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume» metta in programma invece una serie di solenni manifestazioni inserite nel complesso delle celebrazioni jugoslave. Perché questo diverso atteggiamento di due organizzazioni che intendono rappresentare ufficialmente i due gruppi linguistici di confine e che mantengono tra loro una stretta collaborazione? Per quanto riguarda, in questo caso, l'atteggiamento dell'«Unione slovena» di Trieste, nulla da eccepire. Nessuno vorrà pretendere che uno sloveno inneggi a un avvenimento storico che lo ha reso cittadino di una nazione che egli non considera sua. 'Ma perché, invece, questa diligenza unilaterale dell'«Unione degli dell'Istria e di Fiume»? Molti italiani parteciparono qui alla resistenza contro i nazisti e un buon numero di essi combattè, trovandosi sul posto, nelle file partigiane jugoslave. Ma una cosa è rievocare la resistenza, un'altra osannare al distacco del proprio gruppo nazionale dal proprio popolo. Esaltare questo distacco esula dai limiti della dignità. E' appunto su quest'ultima parola che ci si dovrebbe soffermare, quando si parla di tali problemi. Poiché tra tutti i diritti che spettano a una minoranza, il più importante è quello di poter conservare la propria dignità. Se questo diritto scade, tutti gli altri perdono il loro valore. E purtroppo alla minoranza italiana dell'Istria non è stato concesso di beneficiare di tale diritto. Rappresentata male, da persone che non avevano nessun titolo per parlare in suo nome, poiché non designate regolarmente dalla collettività, e talvolta perché addirittura non avevano nulla a che fare con la popolazione istriana, della quale non conoscevano i reali problemi, la minoranza è andata diminuendo paurosamente di numero, fino a ridursi (e il calcolo è ottimistico) a un quinto di ciò che era. Ma è il caso di chiedersi: che cosa si può fare per dare agli italiani dell'Istria e di Fiume, i quali, pur ridotti come sono, costituiscono una minoranza non trascurabile, la posizione morale che loro spetta? Per lunghi anni, da parte italiana, c'è stato un disinteresse quasi assoluto (quando non si è trattato di un atteggiamento negativo) per gli istriani e i fiumani di lingua italiana rimasti nella propria terra. Cosa che non trova riscontro nell'atteggiamento jugoslavo, completamente diverso nei confronti della minoranza slovena del territorio triestino. Ora, da parte italiana, le cose sono parecchio cambiate. Un consistente aiuto per il loro sviluppo culturale viene dato soprattutto, com'è giusto, ai giovani. Ma per quale tramite? Tramite di quella organizzazione degli italiani dell'Istria e di Fiume, della quale si conosce bene l'insufficienza e la politicità. Per mettere in evidenza tali caratteristiche, basterà far notare che da ventitrè anni (quanti sono trascorsi dalla fine della guerra ad oggi) i massimi dirigenti dell'«Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume» escono sempre dal medesimo ristrettissimo gruppo e, si può quasi dire, dalla medesima generazione. Buona parte dei dirigenti sono di professione insegnanti, ed hanno avuto perciò tutte le possibilità di educare dei giovani atti a sostituirli. Perché, in quasi un quarto di secolo non l'hanno fatto? Il problema si riduce a questo: o l'«Unione degli Italiani dell'Istria e di Fiume» diventa un'organizzazione veramente rappresentativa della minoranza ,(e l'elezione delle massime cariche direttive dovrebbe avvenire con la partecipazione al voto di tutto il gruppo linguistico ch'essa intende rappresentare) o la ragione esigerà che i contatti della minoranza con le fonti della propria cultura trovino un tramite migliore, magari creato a tale scopo. Sarebbe veramente penoso (soprattutto per coloro che, come lo scrivente, fanno parte della stessa minoranza) esser costretti a rilevare, in seguito, che agli errori commessi nel passato si sono aggiunti altri, forse anche maggiori. Poiché è da tenere sempre presente che la dignità è il primo diritto e il massimo dei beni di una minoranza. Calpestarla potrebbe risultare domani un errore irreparabile, non compensato da nessun'altra azione, pure lodevole, ma poggiata su fondamenta equivoche. Ed ora resta da completare il primo discorso, quello del contributo che le due minoranze possono dare ai buoni rapporti già esistenti tra Italia e Jugoslavia, e che ognuno desidera si sviluppino ancora. Stabilire dei compiti no, ma le minoranze possono tuttavia contribuire con efficacia alla comprensione tra i popoli. Tale contributo diverrà spontaneo, quando le condizioni necessarie saranno realizzate. C'è da augurarsi quindi che ciò avvenga al più presto, poiché la comprensione e il buon vicinato di due popoli e di due Stati sono una tale meta da meritare ogni sforzo.

Dal numero 2036

del 30/05/1978

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