Sulla foce del Timavo - Sergio Zuccoli - foto

foto Didascalia: Il masso carsico (con l'incisione dedicata al bimillenario sormontato dal gruppo bronzeo dei Lupi di Toscana (foto S. Zuccoli) Invano si cercherebbero oggi le nove bocche dalle quali le acque del Timavo si precipitavano muggendo giù dall'alto della montagna incalzandosi nel mare, e per le quali era ritenuto nell'antichità «sorgente e madre del mare». Oggi le risorgive del fiume, venerato come sacro, derivano da tre larghe bocche basse e quasi a livello del mare, presso il piccolo abitato di San Giovanni di Duino, vicine al bivio di Monfalcone e Gorizia, al cospetto dell'Ara della Terza Armata e del terribile Monte Ermada. Zona sacra questa, intrisa del sangue purissimo dei «Lupi di Toscana» e dei fanti del 149o, che nella prima guerra di redenzione si prodigarono in atti di valore degni d'epopea. Nel breve corso di questa fredda e limpida fiumara, che dopo qualche miglio si dilata bianca sul mare, i triestini riconoscono il loro Clitumno, sacro per gli antichi culti, per i miti e le storie del suo passato e per il beneficio delle sue acque purissime che alimentano l'Aurisina e il Randaccio, i due maggiori acquedotti della città. Come intorno al vicino Castello di Duino e ai sottostanti: scoglio della «Dama Bianca» e del «sasso di Dante», aleggia ancora lo spirito del medio evo, così lungo il corso del basso Timavo vaga il mito magico d'un tempo remoto; qui il visitatore è assorbito da una visione romantica che, con dolce mestizia, rammenta il passato di fatti svaniti nel buio del tempo. Antenor potuit et fontem superare Timavi, Unde per ora novem, vasto cum murmure montie il mare proruptum et pelago premit arva sonanti. (Eneide I v. 244-246) Quando Venere si presentò dinanzi alla maestà di Giove per invocare pace e tranquillità al figlio suo Enea, dopo le sue lunghe traversie, ricordò che Antenore potè penetrare sicuro nel regno dei Liburni e «valicar la fonte del Timavo, onde con vasto mormorio del monte, per nove bocche va in mare diffuso e rifluendo allaga le campagne». Virgilio in ognuna delle sue tre opere ricorda soltanto due fiumi italici: il Mincio e il Timavo. Era doveroso che anche Trieste ricordasse il secondo millenario del sommo vate mantovano facendo incidere, su un masso naturale posto di fronte al bivio e sormontato dal gruppo bronzeo dei Lupi di Toscana, i famosi versi dell'Eneide. Il mito vuole che qui alla foce del fiume, Antenore coi suoi Troiani fuggiaschi, si scontra e vince gli Euganei selvaggi e poi si dirige verso occidente ove fonda Portogruaro, Chioggia e Padova. Qui Giasone, Medea e i cinquanta Argonauti rimettono in mare la loro argonave, trasportata sulle spalle fin dal lontano fiume Sava, e qui infine gli antichi Veneti piantarono il querceto sacro a Diomede travio ed eressero un tempio dove Cillaro affogò il cavallo di Castore, l'argonauta domatore di cavalli. Secondo Marziale l'equile del Timavo, forniva le bianche puledre che Dionisio, tiranno di Siracusa, faceva ammaestrare per le olimpiadi di Grecia. Godeva dunque questo fiume grande nome, magnificato dalla folta schiera di scrittori antichi tanto che anche il Petrarca, invitando Boccaccio di venire presso di lui a Venezia gli propose un viaggio a Trieste «dove per lettere di fede degnissima», diceva il cantore di Laura, «so che regna dolcissima tempra di clima ... ed avrà di buono il tuo ritorno, che teco, come già di lungo tempo mi proposi, potrò visitare il Fonte del Timavo celebrato dai poeti, eppure da molti dotti non conosciuto». Il Timavo si divide in superiore, medio, inferiore. Il Timavo superiore nasce a 380 m d'altezza ai piedi del Nevoso dalle viscere del M. Catalano e scorre per 34 km lungo una profonda valle tagliata nell'arenaria fra l'altopiano della 'nuca e quello della Carsia. Poco dopo il suo ingresso nel Goriziano scompare ad un tratto sotto la volta di rocce calcari che sostiene il villaggio di S. Canziano (Grotta di S. Canziano); riappare a qualche distanza più giù nel fondo di un burrone, si converte in cascata, e poi s'inabissa con echi e rimbombi, luci e riflessi fantastici, cominciando così il suo corso sotterraneo (Timavo medio). Lo si può seguire sotterra per circa due chilometri lungo il fondo della grotta entro la quale scorre e rimbalza da roccia in roccia formando 24 cateratte. Lo si sente rumoreggiare a 360 m dal suolo, ingrossato da altre acque inghiottite dal sottosuolo carsico, nel fondo della Grotta di Trebiciano (fraz. di Trieste), e poi dopo un corso sotterraneo complessivo di 36 'km ricompare presso la vecchia chiesa d'i S. Giovanni della Tuba (Timavo in feriore) per finire tranquillamente nell'Adriatico, con un volume d'acqua tre volte maggiore di quella del Timavo superiore. Oltre a questo nostro fiume adriatico, si conoscono altri due corsi d'acqua di questo nome antico, preromano: uno è il Cellina che prorompe da una parete rocciosa a Monreale presso Maniago dove, una quarantina d'anni fa venne alla luce un'ara assai antica dedicata al nume fluviale Timavo; l'altro è il cosidetto «Fontanone» a Timau in Carnia, che scaturisce da una considerevole altezza del «Greta» e si riversa a balzi spumeggiando nel letto del But. Sul posto del tempio sacro a Diomede sorse più tardi uno dedicato a Giunone etolia nel quale si addomesticavano i cavalli selvatici, e certamente quando i cristiani poterono liberamente celebrare i riti della loro religione sorse qui una chiesa dedicata a S. Giovanni Battista e intorno al mille un convento. Durante le incursioni barbariche, convento e chiesa furono spesso danneggiati, ma sempre restaurati per opera dei patriarchi d'Aquileia. Durante la prima grande guerra la chiesa fu distrutta; qualche anno fa fu ricostruita. Ha la sua parte più antica nell'abside, rivestita in pietre lavorate tolte dai preesistenti antichi templi; mentre però l'abside è di puro stile nordico, il corpo principale e il campanile hanno un carattere spiccatamente italiano. Negli ultimi scavi archeologici effettuati nel 1958, si rinvennero oltre le antiche fondamenta dello scomparso monastero, molti sarcofagi e lapidi funerarie, quasi a confermare quanto a questo proposito scrissero l'Amareo e l'Alberti: «Noè, dopo il diluvio, mandò una colonia di abitatori, sotto la condotta di Giafet, suo figlio maggiore, il quale approdato al Timavo ed ivi statoilita la sua dimora, lasciò del suo nome, quello di Giapidia, a tutto il circonvicino paese. Per questo l'antica chiesa di S. Giovanni, la quale fu edificata all'uscita d'i questo fiume, venne denominata di Tuba, perché essendosi ivi piantata una delle prime colonie dopo il diluvio, nel fine del mondo dee venir colà uno dei quattro Angeli predetti dalle Sagre Carthe, ad eccitare con tromba al Giudizio Universale i Defunti. E per questa ragione molte persone negli antichi tempi lasciarono per testamentaria disposizione di essere in quel luogo sepolti». Amico lettore, se per caso verrai da queste parti, fermati qualche minuto sul belvedere che sovrasta i tre ninfei naturali dove sgorgano le sorgenti di questo mitico fiume, vedrai specchiate nelle sue acque azzurre la vecchia e la nuova chiesa di S. Giovanni della Tuba, vedrai la grande nuova Cartiera del Timavo e lontane, quasi sulla foce del fiume, le ridenti casette del nuovo Villaggio dei Pescatori dedicato a San Marco. Dopo esserti riposato all'ombra dei salici piangenti e dei vecchi lodogni, recati in una delle tante trattorie della vicina Duino o di Sistiana e bevi un buon gotto di Refosco di Prosecco, e ricorda che questo vino è il degno erede di quel Pucino, che Livia moglie di Augusto imperatore, prediligeva perché prodotto da quell'uva, i cui grossi tralci crescevano negli antichi tempi, tra gli spalti e sulle sponde del Timavo. Sergio Zuccoli

Dal numero 2064

del 12/12/1978

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