Nostalgia dell'Arena - MARIO MIRABELLA ROBERTI - foto

foto Didascalie: Forte di Cattaro Cattaro vista dal sud Curzola Poiché ricordiamo il duemillesimo rinascere settimanale dell'Arena di Pola, vogliamo anche ricordare l'Arena di Pola? E' il monumento massimo della città, ma è anche il massimo monumento romano dell'Italia cisalpina. Sì, c'è l'Arena di Verona con le sue intatte gradinate, ma le misure antiche là sono perdute e i valori estetici sono là raccomandati alle tre arcate dell'Ala. A Pola la cerchia esterna è intatta, tranne qualche modesta sbrecciatura. Intatta nelle sue settantadue arcate di pietra bianca che il tempo ha colorato di bronzo e d'oro, con quell'incomparabile ellisse tagliente, che dall'aereo vibra nitida fra le case piccole e stupisce per l'esatto giro inconfondibile. E a chi la vede da terra? Un cavalcare di arcate, che hanno per sfondo il cielo, il verde, il mare, il sole, la luna, le stelle. Quale altro edificio mai, che ci sia giunto dal mondo antico, ha un così esatto giro -di archi proiettato nel cielo? Certo, è il risultato del tempo, del tempo che logora, degli uomini assetati di pietre per le loro piccole case: tutto l'imponente corpo di fabbrica interno è stato interamente asportato! Nessun architetto antico avrebbe potuto pensare mai di costruire un simile giro di arcate libere per cingere uno spazio aperto. Così che questa volta al tempo dobbiamo riconoscere un merito: una struttura impetuosa di volte, di anfratti, di scale, di gradinate concentriche è sparita e di tutto questo è rimasto l'involucro, la parte più nobile: quella dove l'architetto ignoto — che tutto aveva dovuto calcolare, misurare, ritmare — aveva messo il suo gusto, la sua attenzione ai rapporti di vuoti e di pieni, di arcate, di architravi, di superfici scabre e lisce. E nel giro, nel grande ritmo, dappertutto uguale, dappertutto ripetuto... quattro soste ha voluto, quattro accordi, quattro ancoraggi, quattro sporgenze. Quattro torri, quattro nuclei di scale, che sono solo qui a Pola, e sono nel giro note di forza, di colore, di nobile interrompimento, di vigorosa affermazione di personale inventiva, che hanno dato sigillo all'opera antica. Il costruttore ha lavorato proprio indipendentemente dal corpo murario perduto: questo era già costruito quando quel giro di arcate è stato voluto per far più ampia e nobile e alta l'opera intera. Non era passato un secolo, se le indagini degli studiosi sono esatte, non era passato un secolo dalla prima pur imponente costru zione, che possiamo ritenere augustea — ed era a piccole pietre piuttosto greve e dura —, quando nell'età di Claudio la cerchia esterna in grandi conci di pietra delle cave prossime alla città fu decisa e iniziata e condotta forse fino al secondo ordine. Prevedere che fosse completata da Vespasiano non è errato. Se il rilievo e il gusto del vigoroso bugnato è tipico di altre costruzioni claudiane, come il grande tempio sul Celio a Roma, l'ultimo ordine invece può essere stato completato qualche lustro più tardi. Così come il Colosseo, iniziato da Vespasiano, fu compiuto da Tito, reduce dalle vittorie oltremare. Non era piccola impresa costruire un anfiteatro, anche per un grande popolo costruttore! Ora la grande opera, così unica, così fatta di pura bellezza, non ha per noi interesse di tempo: è un segno della forza antica, è una nota della bellezza antica. E' su tutto, per noi, una voce, la voce certo più viva della città cara, che è al di là della lunga penisola, che è al di là del mare, ma è tanto vicina al nostro cuore. MARIO MIRABELLA ROBERTI

Dal numero 2000

del 16/09/1977

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