Sequalcuno - come in parte avvenne - avesse chiesto a noi, esuli del Comune di Portole, di presentare una documentazione delle nostre origini romano-venete, ci avrebbe un po' sorpreso, perché non avremmo potuto dimostrargli granché. Avremmo potuto soltanto indicare i libri e i nomi degli illustri scrittori impegnatisi su tali argomenti, e ciò avrebbe dovuto essere sufficiente -come conviene ad onesti storici e letterati - a confermare la verità degli eventi, opportunamente colta attraverso i loro approfonditi studi, le accurate descrizioni e le acute interpretazioni. Ai detrattori ciò non è bastato, ed hanno continuato a dileggiarci, in nome del loro nuovo effimero credo, con una propaganda sbandierata e capace d'ogni iniquità. A conferma del suddetto intento, un dato di fatto importante del quale occorre tener conto in prima istanza è che ilMunicipio del castello di Portole venne dato alle fiamme nel 1944, ossia incendiato dai partigiani slavocomunisti, i quali, certi di aver cancellato in tal guisa ogni segno che avesse documentato l'italianità del sito, fecero subire parimenti la stessa sorte all'annessoArchivio Comunale probatorio. Per sete di conoscenza, […] spinti dall'anelito per il “vero sapere” ci siamo industriati in profonde indagini per rinvenire qualcosa del nostro remoto e più recente passato e, in tale contesto, crediamo di aver trovato un qualche tesoro di inconfutabile certezza. La mappa per giungerci è stata disegnata e scritta molti secoli fa e, come può accadere, è rimasta assonnata in un forziere. Essa consiste in un volume avente per copertina due sottili strati di legno ricoperti in pelle che racchiudono una collana di fogli manoscritti: si tratta di un'antica raccolta documentale visionabile presso la Biblioteca Civica “Attilio Hortis” di Trieste nella Sezione Archivio Diplomatico e contraddistinta dalla collocazione archivistica “BEE 16”, […] Essa fa capo alla raccolta intitolata Frammenti di Terminazioni ducali del Comune di Portole d'Istria, che racchiude uno spazio temporale a cominciare dalle Effemeridi dall'anno 804 in poi, per proseguire quindi con le Terminazioni, le Parti prese e i Regesti, che principiano nel 1300 e vanno a chiudersi verso la fine del 1700, lasciando comunque spazi e possibilità di poter proseguire ulteriormente nella ricerca di bolle, ordinanze, sentenze e leggi delle autorità di quei tempi. Ad integrazione e completamento di quanto sopra, vengono via via riportate importanti scritture, descrizioni storiche e numerose immagini che raggiungono infine anche il diciannovesimo secolo. Tale primaria documentazione non ha trovato, negli anni che la seguirono, l'attenzione che meritava. La storia remota di Portole d'Istria, faticosamente rinvenibile per lo più attraverso pergamene e copie vetuste di documenti […], non è stata ad un certo punto più ritrasmessa a causa degli eventi bellici delle ultime due guerre mondiali che sconvolsero quel mondo […] ed è perciò caduta velocemente nell'oblio, sottratta financo al piacere dei ricordi personali. Difficilmente reperibile, quindi, detta “historia portolana” trova in questo libro la sua rinascita, raccontandoci ciò che avremmo voluto conoscere da sempre. Non si tratta di un libro di storia nel senso più aulico della parola, bensì, crediamo, di un'accorata ed accurata raccolta dei risultati di una lunga ricerca antologica del vivere plurisecolare dei nostri avi del Castello di Portole, vivere inglobato in un contesto ovviamente riguardante anche la penisola istriana. Dopo aver iniziato a sfogliare le prime pagine con lenta ed attenta lettura e aver superato le prime indecisioni ortografiche e quelle dell'ortoepie dei vari vernacoli che man mano, in quelle antiche stagioni, si ricomponevano mirando al “dolce stil novo”, il lettore troverà sicuramente il piacere di continuare a scoprire cosa e quanto i nostri progenitori ci hanno lasciato sui temi più diversi del loro vivere e delle loro esperienze. Per chi avrà letto il presente lavoro antologico di copiatura e di interpretazione dei documenti e avrà poi occasione di visitare personalmente il nostro borgo avito, non avrà difficoltà ad immaginare la vivacità del luogo contrassegnata dal vociare di bambini, dai rumori, gli odori, i canti, gli animali, i carri, i suoni di campane e i calpestii degli abitanti per le calli del castello. Potrebbe altresì facilmente evocare la presenza dei notabili dalle lunghe vesti colorate che, lasciata la piazza della ChiesaMaggiore ed ilMunicipio, raggiungevano la Loggia appellandosi a vicenda coi loro titoli: Podestà, Monsignore, Giudice, Camerlengo, Governatore, Cavaliere, Fondicaro, Cattavero, Gastaldo, Auditore, Cancelliere, Giutiziere (adetto alla misure), Sindico, Saltaro, ecc. In tale contesto si sarebbero poi di certo potute sentire tutte le voci commentare e dialogare esclusivamente in un vernacolo dallo schietto accento veneto, e questo da parte di tutti gli abitanti territoriali, tenendo oltretutto conto che a quel tempo gli anni passavano lentamente e ogni nuovo anno era di molto somigliante a quello precedentemente trascorso, allorché si fosse riusciti a sfuggire alla malaria, al tifo petecchiale, alla peste bubbonica e al “miserere”, primaria malattia così definita dal popolo quando non sapeva qualificare la ragione del trapasso, traendone estensivamente il nome dal noto salmo che allora si usava cantare all'estinto. Riguardo le Terminazioni e le Parti prese, è opportuno innanzitutto sapere che esse erano le leggi principali, ossia le fonti ufficiali del sistema legislativo locale, e venivano annunciate dalle “strida” (gridate). Era compito delle autorità comunali presentare le istanze di pubblico interesse: queste venivano esaminate e tramite la voce “rispondiamo”, le richieste venivano concesse o cassate dall'autorità ducale. Inoltre è bene ricordare che, nei lontani anni di cui ci occupiamo, la grandissima parte della gente era analfabeta, per cui non esistevano degli scritti volti a perorare le loro verità. La proprietà era in mano ai feudatari e i “catastici”, qualora esistenti, erano poco credibili perché molto imprecisi; quindi quei pochi che possedevano un palmo di terra o dei frutti li difendevano a piene forze. Per quanto riguarda invece il sistema giudiziario al tempo vigente, la “loggia veneta” raccoglieva nei giorni festivi non solo l'autorità e il popolo per “discutere e parlare in libertà”, ma anche i “Iùdesi” (giudici), i quali, sentite le parti ed i loro rispettivi testimoni, sentenziavano. La “consuetudine” era in genere l'unica speranza per la difesa dei bisogni e dei diritti della povera gente.Anche questa, però, poteva esser disattesa dai più forti. La vita di quei tempi lontani era, infatti, piena solo di madido sudore e quasi sempre accompagnata da malattie endemiche ed epidemiche, causate soprattutto dalla mancanza d'acqua, che in caso di pioggia veniva assorbita dalle fenditure del terreno carsico e dal dilavamento di quello arenano, provocando la distruzione delle coltivazioni. L'autorità frenava le intemperanze con severità. Le persone di questa terra erano pie ed osservanti ai dettami evangelici e il denaro era sconosciuto ai più - lo si può ben dire - e si compensava con il baratto. L'alimentazione era carente di materie caloriche e proteiche e la vita si spegneva in media prima dei 40 anni d'età. È nel 1492 che l'America verrà scoperta,ma si dovette attendere circa il diciottesimo secolo per poter iniziare a coltivare ed apprezzare nuovi generi quali il mais, il pomodoro, la patata, ecc. interessante ricordare che l'antico e ristretto territorio comunale di Portole si estendeva sin dal 1072 - data in cui la denominazione del sito appare per la prima volta in una bolla pergamenacea - dal limitare della foresta nella valle del fiume Quieto alla zona precarsica settentrionale con un dislivello complessivo di 378 metri. Infatti, percorrendo la ripida strada carraia dalla piana boschiva di Levade sita a 12 metri sul livello del mare, occorrevano ulteriori 366metri per raggiungere il castello di Portole. Si dovette attendere l'anno 1869 per incorporare altro spazio territoriale: a levante con Stridone e il castello di Pietra Pelosa, a ponente quello adiacente di Ceppi ed infine quello posto a settentrione che prende nome di Carso di Portole. L'inclusione di questi territori raddoppiò all'incirca la potestà comunale, comprendendo infine l'aquisizione a sud di 270 ettari del Bosco di Montona, che più tardi prenderà il nome di Bosco demaniale di San Marco. Gli abitanti al tempo del censimento del 1939 risultarono di 5709 unità. Il presente preambolo vuole evidenziare come nei secoli a noi più vicini, flora e fauna potevano essere abbastanza ricche, viste le varie altitudini che componevano questo meraviglioso territorio, dall'umida terra del predetto bosco, all'aria “fine” dell'alta zona collinare. Tale riflessione ci permette di conglobare al testo storico del libro - che occupa primariamente un'effettiva e verace stesura conoscitiva dei tempi passati fino a quelli più prossimi - un percorso dell'uomo locale, industrioso lavoratore della terra nell'incontaminata natura.Acostui spettava provvedere alla famiglia, alla terra, agli animali domestici e a quelli aggiogati, al lavoro nei campi e sui declivi delle alture formate da “pastini” (terrazze prative); la zappa ed il falcetto appeso al gancio della cintura erano gli arnesi simbolo della sua condizione. Lieve il sussidio che poteva pretendere: doveva risparmiare quel poco che aveva ed essere pronto alla consegna delle “decime”. Un unico aiuto suppletivo poteva giungere dal “fondaco dei grani” o dalla “scola”, la confraternita a cui aderiva. Il calendario agricolo, praticamente, era rappresentato non tanto dai numeri che segnavano i giorni, bensì dalle festività e dalle ricorrenze di alcuni Santi: il 17 gennaio SanAntonio abate per la macellazione suina, il 23 aprile San Giorgio patrono, il 24 maggio la Redenzione, il 2 settembre Santo Stefano Re per la raccolta del tartufo bianco, 11 novembre San Martino per il primo travaso del vino, Santa Caterina il 25 novembre per la spremitura delle olive, il 13 dicembre Santa Lucia per la fiera e per l'acquisto dei maialini da ritrovar pingui tredici mesi dopo. Le sagre si tenevano nel giorno di Ognissanti per la gente di Gradena e in quello di Santa Caterina per gli abitanti di Cucciani; a Levade invece la sagra aveva luogo nel giorno di San Giovanni Evangelista o “in palù”, mentre a Stridone si tenevano sia una per San Giorgio che un'altra, più importante, per San Girolamo che qui vi nacque. Nella chiesa latina la festa di S.Michele era celebrata 1'8 maggio e il 29 settembre. Non si deve tralasciare il fatto che durante i tempi delle fiere più frequentate erano allietate da musica, balli, canti, brindisi e mortaretti, nonché da addobbi floreali sulle chiesette delle contrade che al visitatore potevano sembrare a prima vista tutte eguali, ma che si differenziavano tra loro per le forme del piccolo campanile “a vela” poggiante sulla cuspide; alla fiera di Ceppi si portavano a riparare gli orologi e non mancavano mai i “buzolai” (ciambelle dolci) e l'ottimo vino. Nell'arco dei secoli che tratteremo, per l'agricoltore di questo territorio nulla di nuovo poteva accadere. Bisognerà aspettare il dicianovesimo secolo o meglio ancora il ventesimo per veder apparire qualcosa di notevole che potesse alleviare il suo stato lavorativo, cosa che si può di certo altrettanto dire per gli appartenenti alle arti e ai mestieri. Trascorse le secolari presenze della RepubblicaVeneta e quelle brevissime del periodo napoleonico, l'Istria venne consegnata all'Austria, la quale si dimostrava invisa alla popolazione autoctona italiana. Il libro Portole d'Istria tra immagini e memorie ne fa cenno con alcune spiegazioni. Vinta nel 1918 la guerra contro l'impero austro-ungarico, Portole si colora di bandiere tricolori. Iniziò il periodo più gioioso e fertile per tutta la popolazione, con due bande musicali in castello, una terza a Levade e una quarta a Stridone, un'orchestra di musica classica ed opere liriche a Portole, l'aumento delle strutture scolastiche grazie alla Lega Nazionale, la meccanizzazione olearia, l'essiccazione del baco da seta, la ricerca agricola circa i vari generi di cereali, la costruzione dell'Acquedotto Istriano, l'escavo dell'attività lapidea, la circolazione veicolare su gomma, l'installazione dell'elettricità e della telefonia, l'ascolto radiofonico, l'allargamento del foro boario, sementi selezionate per una maggiore produttività, creazione dell'impianto atto al ricavo della grappa, la “curazione” di una parte della foresta demaniale, l'ammodernamento della Stazione Termale di S.Stefano. Questa situazione comportò la maggior frequenza alle letture agricole, alla comunicazione in genere, alla maggior presenza della gente ai mercati rurali, alle fiere e ai balli nei dopolavoro o all'aperto, sul “tavolazzo” inghirlandato. Dal settembre del 1943 e di seguito fin ben oltre il 1945 emergono i lutti che la popolazione di lingua italiana ha dovuto subire. Con un esodo di proporzioni bibliche, l'Istria si spopola dei suoi abitanti volti a salvare le proprie vite e a confidare in un avvenire di pace e prosperità per quelle dei loro figli. Si conteranno infine 350.000 tra coloro che dovettero rinunciare al proprio territorio e ad abbandonare insepolte, per dolorosa coercizione, ulteriori 20.000 vittime consanguinee di etnia italiana. E che dire anche delle negate opzioni che peroravano di voler accedere al territorio italiano? Oggi nel castello di Portole si conta la presenza di una sola persona autoctona, un impavido alfiere d'Italia: Stelio Bassanese. SILVIO FACCHINI