Abbaino PROFILI Angelo Dicovich: una vita tra sport e politica - ELVINO TOMASINI - foto

foto Didascalie: Pisa, marzo 1933 L'undici della Torre Pendente nella formazione che ha battuto la Lucchese per 2 a O. Sul retro una scritta: «Con l'anima spensierata dei bel momenti. Duè Divo». Angelo Dicovi è il primo da sin. Ferrara, 22. 3. 1931 La squadra del Grion nell'albergo che la ospita per la partita di campionato di Prima Divisione. Da sin. in piedi: il lift, Carlo Gasperutti, Giacometto Crismani, il portiere dell'albergo, Giuseppe Verk, Nico Poiani, l'allenatore Gulyas, Giusto Curto, Ermanno Petronio, il direttore dell'albergo. Seduti: Angelo Dicovi, Gianni Luciani, Checco Cerdonio, Mario Colussi, Nicolò Curto e Amedeo Defranceschi Un'altra formazione del Pisa nel campionato di Prima Divisione (girone toscano) 1932-33: Busidoni, Piastrellino, Artigiani I e II, Duè, Ciobetti, ?, Dicovi. Accosciati: ?, Artigiani III, ? Stagione 1939-40 L'undici del Giulianova: Dicovi è «piegato» al centro Una formazione dei «Cantieri Navali Riuniti» di Ancona: l'ali. Paoloni, Mosconi, ?, ?, ?, Maggi, Dicovi, Cartoni, Piastrellini Marini, ?, e Varoli C'era, agli inizi degli anni venti, un campetto spelacchiato fra le vie Besenghi, Dante e Sissano chiamato della «Foia verde». E' lì che Angelo Dicovi (Dicovich), nato a Pola il 31. 5. 1907, cominciò a dare i primi calci al pallone, così, spensieratamente. La squadra — che poca fantasia! — si chiamava «Foia verde», come il campo e vi militavano «C'esco» Stocovaz, Lenzovich, Dobrovich, Roberto Maurovich, Godigna (il futuro «genoano», commissario tecnico della nazionale venezuelana) e qualche altro. Poi Stocovaz (più tardi ... tramutato in Stocco) andò a cercare gloria calcistica fra i boys del Grion e non tardò a chiamare l'ex compagno di squadra Dicovich fra i nero-stellati. Costui, già apprezzato ginnasta del Veloce Club Polese (parallele, anelli, cavallo, sbarra, ecc.), ma appassionato di football, non si fece pregare e approdò, con giovanile entusiasmo, alla sede di via Muzio. Nella stagione 1922-23, i boys del Grion vinsero il torneo dell'ULIC. Dai boys alle riserve nero-stellate il passo fu breve. Erano anni bui, c'era la crisi economica e la disoccupazione toccava punte elevatissime. Angelo Dicovich, carpentiere in ferro, per restare al Grion, chiese al segretario della società, Petronio, impiegato in Arsenale, un posto o al Genio Navale o all'Arsenale stesso. Ebbe molte promesse, ma poi dovette ripiegare su un posto di manovale alla Fabbrica Cementi. A 19 anni giocò qualche partita amichevole in «prima»; poi fu bloccato dal servizio militare di leva, per effetto del quale fu spedito a Venezia Lido, nella difesa costiera. Congedato, tornò a Pola e il Grion cercò subito di reingaggiarlo, ma Dicovich finì all'Edera, che gli aveva fatto promesse di lavoro . . . più consistenti, a sostituire Rudy Ostromann, passato al Milan. Giocò alcune amichevoli e fu giudicato una rivelazione. L'Edera fece subito richiesta di tesseramento alla F.I.G.C., che venne respinta, risultando il giocatore ancora vincolato al Grion. Stava per sorgere un difficile caso, quando l'Edera repubblicana fu sciolta d'autorità e Dicovich si ritrovò al Grion, per il quale disputò tre campionati (1928-29, 1929-30 e 1930-31) in Prima Divisione. Al termine della stagione 1930-31 chiese lo svincolo al Grion — che non gli fu concesso — sempre per ragioni economiche, e solo dopo una sosta obbligata fu ingaggiato dalla Monfalconese (Serie B). Il 13 dicembre 1931 Dicovich fece parte della Rappresentativa Polese che si misurò con il Grion in un incontro amichevole «pro Coverlizza», lo sfortunato giocatore polese vittima di un grave incidente di gioco mentre militava fra le fila del Cosenza. Ma all'inizio della stagione 1932-33, dopo poche partite, la squadra dei Cantieri si ritirò dal campionato per mancanza ... di fondi, e Dicovi (gli avevano già ... ritoccato il cognome), libero per contratto, fu costretto a cercarsi un'altra squadra. Finì al Pisa, in Prima Divisione (girone toscano) con Duè, il futuro juventino, centravanti o mezz'ala ambidestra. L'anno successivo fu al Manfredonia (Prima Divisione, girone pugliese) con Bruno Cazianca, attualmente in Canadà. Siamo al tempo della guerra d'Africa. Dicovi approfitta della conoscenza e dell'amicizia di qualche giocatore anconetano a Pola (Mondaini, Marinai, ecc.) e va a fare un provino ad Ancona. A quel tempo, nella città dell'Adriatico, prosperavano due squadre di calcio: l'Anconetana e i Cantieri Navali Riuniti di Ancona. Dicovi si mise all'asta e, com'era logico, finì alla seconda che gli assicurava il posto di lavoro stabile nei Cantieri Navali Riuniti, appunto. Restò in Ancona nove anni. I «Cantieri», alla fine della stagione 1938-39, cessarono l'attività sportiva e così Dicovi passò, nella stagione 1939-40 al Giulianova, nel ruolo, per lui nuovo, di centromediano. Scoppia la guerra e Dicovi è sempre in Ancona, fuochista alle dipendenze del Comune. All'inizio del 1944 rientrò a Pola, non senza difficoltà e nel 1947 fu assunto dal Cantiere di Scoglio Olivi come carpentiere in ferro. Il é novembre dello stesso anni («metta la data» mi dice) venne inserito nel Sindacato dei Cantieri come «referente» dello sport professionistico, in virtù del suo luminoso passato di sportivo militante. Crea campi di gioco per la pallacanestro e la pallavolo a pro degli operai del Cantiere. Nel 1948, anche per sua iniziativa, nasce l'Uljanik, cuna società polisportiva che riassume e riunifica le attività sportive dell'Arsenale e del Cantiere di Scoglio Olivi. L'attività di Dicovich (intanto ha ripreso il cognome originale) è frenetica, incessante. Crea un altro campo di gioco in Arsenale e nel 1949 va per un mese a Zagabria a frequentare un corso di allenatore polisportivo. C'è il campionato fra le varie fabbriche della città, la ginnastica è in auge, ci sono le squadre di basket (maschili e femminili), di pallavolo (idem), di atletica leggera (idem), di pugilato,. di bocce e di pesca dilettantistica. Giocatore-allenatore della squadra dell'Uljanik fino al 1951, conquista, nel 1949-50, il primo premio dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico battendo in finale il Solin di Spalato (2 1), con due gol del già celebre Giordano Terlon. Il premio consiste in un cavalletto, in due tappeti, in cinque paia di guanti da boxe e vari indumenti sportivi. Ha un figlio, del 1934, ingegnere allo Scoglio Olivi (una tradizione ... di famiglia), grande sportivo. Angelo Dicovich, detto «Gnagno», abita a Pola in Vlaciceva 9. Dall'altro lato della strada, quasi alla stessa altezza, c' è la villetta di Mario Colussi. L'ho scovato con l'aiuto di Silvio Marini, una calda sera di luglio del 1976, appunto nella sua abitazione. «Gnagno», con i calzoni corti blu e la canottiera bianca, batteva «broche» in cortile. L'incontro fra i due vecchi amici e compagni di squadra fu senz'altro patetico (e non poteva essere diversamente conoscendo il carattere dei personaggi): un lungo abbraccio con gli occhi lucidi di commozione. Poi, il giorno dopo, in un mattino caldo e afoso, Dicovich si concesse senza riserve, nel modesto salottino di casa sua, al secondo piano di una vecchia casa d'angolo, alla mia curiosità di ricercatore di notizie. Sul tavolo rotondo il mio taccuino, alcune vecchie fotografie ingiallite, parzialmente strappate o spiegazzate, e un portamedaglie di velluto azzurro. Pìù in là, a un lato del tavolo, due birre e due bicchieri su un vassoio, sollecitamente portati dalla moglie, ex bidella delle Scuole Professionali di Pola. Il colloquio, per questi e altri motivi, si profilava denso d'interesse. E così fu in realtà. Due ore filate, o quasi, a parlare di calcio. Dicovich è vicino ai settanta, ma è d'aspetto molto giovanile e con un entusiasmo di rara freschezza. Affiorano, dalle sue parole, una dovizia e una ricchezza di particolari — quasi tutti esatti, notate! — inimmaginabili. Sul viso nobile, fiero e un po' altero, emerge un naso affilato e forse un po' sproporzionato, ma l'attenzione è attirata dagli occhi grigi limpidi, espressivi, sinceri e dai capelli, ben pettinati e spartiti da una riga in mezzo un po' spostata a sinistra. Dicovich parla praticamente senza soste e imbarazzi, con una semplicità e una dolcezza rare, e ne vien fuori tutta la sua sta ria. Si può ben dire che è vissuto per lo sport, la ginnastica e il calcio in particolare, anche se ha dovuto dibattersi tra non poche difficoltà (quelle economiche ìn primo luogo) e per dam sfogo a questa sua passione innata, esuberante, irrefrenabile e può anche sembrare — ma è falso — che lo sport sia stato solo un motivo per procacciarsi un lavoro, quello modesto di carpentiere. Gli anni della crisi, ma anche della sua rapida affermazione nei campi dello sport a lui più consoni, sempre una lotta, nella vita come nello sport, perché anche allora gli avversari non erano né storditi né acquiscenti. Tutt'altro! Dicovich racconta ordinatamente la sua lunga storia calcistica — solo di rado lo interrompo per puntualizzare qualche episodio o per sfrondare il superfluo — e mi vien quasi il dubbio, più avanti solo in parte confermato, che si darebbe in pasto alla mia curiosità anche per vicende non sportive o calcistiche. Gli occhi brillano, gioiosamente inquieti: c'è in quest'uomo, con l'animo dì fanciullo, un candore e una semplicità che incantano. Forse la mia iniziativa ha risvegliato in lui ricordi e immagini memorabili mai sopite, solo parzialmente accantonate, forse per mancanza di interlocutori. E' il suo dire naturale, che sgorga spontaneo, senza rèmore né reticenze di qualsiasi natura. Riprende il filo dopo un'interruzione. «Dove siamo arrivati?» — «Al 1944...» — «Già, al 1944. Parliamo anche di politica? Ho militato nella Resistenza ...» — «No, la politica la tralasciamo». Continua, più sereno e più candido di prima. Poi c'è l'esame delle foto (una, la più bella a mio giudizio, è stata tolta per me da una cornice) e della medaglia (mm. 65x65) dorata: una testa di donna circondata da atleti di varie discipline sportive, ciclisti, pugili, nuotatori, ecc. Sul retro, la scritta: «Za doprinoe U. Razvoju Sporta: 1942-1972 / Odbor Za Rekreaciju / Uljanik Pula». Capisco che è il suo vero vanto, ciò che suggella, in maniera palpabile, il suo passato di sportivo militante nonché organizzatore e valorizzatore di giovani atleti. Ci soffermiamo sull'episodio comico-sentimentale che ognuno dei protagonisti è tenuto a raccontare dopo aver spremuto un po ... le meningi. Dicovich l'ha già preparato dal giorno prima, pertanto anche da questo punto di vista nessuna difficoltà. «Il 24.12.1929 andammo a Mantova per la settima di campionato (risultato finale O O, N.d.S.) e qualche grionese (Tomich, Colussi, Poiani, ecc.) maltrattò il diretto avversario, soprattutto Poiani che se la prese con il centravanti avversario. A fine partita, quest'ultimo, irritato per il risultato finale e per le costanti attenzioni di Nico, si avventò sullo stesso e lo prese letteralmente a calci. Poiani, poco eroicamente, fuggì e si rifugiò nel fondo della rete, dalla parte degli spogliatoi. Muli, salveme! gridava come un ossesso. Intervenne la forza pubblica, e Poiani fu ... liberato, con qualche ammaccatura extra-partita. Nella partita di ritorno, a Pola (13.4.1930), al momento di entrare in campo, l'arbitro s'accorse che oltre a lui c'era solo la squadra ospitante, cioè quella nero-stellata. Il Mantova non si arrischiava di scendere in campo: i giocatori pallidi e tremanti erano asserragliati negli spogliatoi e si rifiutavano di uscire. Ci volle l'intervento dell'arbitro e la minaccia di dar partita vinta al Grion per convincere gli azzurri a entrare sul terreno di gioco. La partita fu estremamente corretta e si concluse con la vittoria del Grion. La sera gli ospiti furono invitati alla sede di via Muzio per il rinfresco e il ballo. Ripartiti per Mantova indirizzarono alla società nero-stellata una lettera in cui si ringraziava per l'ospitalità e si chiedeva scusa per aver dubitato di presunte intenzioni di rivalsa dei grionesi nei confronti dei giocatori ospiti». Siamo al commiato. Le solite raccomandazioni di non smarrire le foto («sono ricordi, capisce ...») e la fotografia di prammatica che ritrae il Dicovich attuale davanti al portone di casa sua. Il piccolo Dicovich — non poi tanto piccolo intendiamoci — mi accompagna alla macchina e mi augura buon viaggio. Prima di infilarmi nell'abitacolo mi ragguaglia ulteriormente sulle sue doti di ex calciatore. «Tecnica e agonismo, e un bel gioco di testa, nonostante la statura non elevata. Ma ero un calcolatore e un tempista e parecchi gol li segnai su azione di calcio d'angolo ...» Sulla strada c'è un caldo infame, torrido, afoso, intollerabile. Penso all'acqua azzurra•di Stoia, alla quale ho temporaneamente rinunciato per l'intervista, e che mi appare come un sogno paradisiaco. Dicovich, esauriti i particolari involontariamente omessi, si piega verso la portiera per salutarmi definitivamente. Aleggia, sul suo volto fanciullesco, quell'atmosfera di cordialità, di familiarità e di affabilità che hanno piacevolmente allietato il nostro lungo colloquio. ELVINO TOMASINI

Dal numero 1950

del 10/08/1976

pagina 253