RICORDI ...desidero che mia moglie continui a vivere nelle sue parole di Laura Guerra Parolini - foto

segue da pag. 7 Valmazzinghi fosse l'America. Per prima arrivò la sorella Tersilla, maestra elementare alla quale lui trovò posto nella scuola di San Lorenzo; poi il fratello Dante, guardia di finanza, che papà sistemò come autista della prima corriera. Con l'espandersi della sua azienda di trasporti, le Autolinee Albonesi, arrivarono altri giovani e furono sistemati come autisti. Troppo spesso la loro inesperienza provocava danni alle corriere. La mamma lavorava nel negozio e al centralino telefonico, e non poteva certo curare la casa. La serva Maritza rubava la biancheria dagli armadi e le provviste dalla dispensa. I miei fratelli andavano e venivano dai boschi e dalla spiaggia, arruffati e con i vestiti sporchi e strappati. La mamma cercava di rimediare, ma per quanto si sforzasse non poteva arrivare a tutto. Io dovetti rimboccarmi le maniche, ma non bastava. All'alba mio padre si svegliava presto per andare a pesca col vecchio Barba Gaspe. A volte anche noi andavamo a pescare con loro. La strada da casa nostra fino al mare era lunga e ci andavamo quasi sempre in groppa a un asino. Cavalcando con dignità, passavamo prima attraverso campi, poi per viottoli che fiancheggiavano estese radure con vegetazione bassa, per lo più ciuffi di erba salvia, cespugli di malagrìs dai fiori gialli, qualche pianta di ginestra e sassi, sassi a non finire. Ripensando a quella strada che ci portava al mare, rivedo tutto quell'azzurro, il verde delle spighe di salvia e il giallo luminoso delle ginestre e dei malagrìs, e sento il profumo intenso, resinoso, che riempiva l'aria. Era una festa se riuscivamo a prendere le "donzelle" colorate o qualche "bavosa", un pesce che si trova sotto le pietre e sputa dalla bocca una specie di saliva. Ogni volta che prendevamo un pesce lo mettevamo subito nello scarpone sgangherato di Barba Gaspe per paura che saltasse di nuovo nell'acqua. Questa non è una buona abitudine, diceva la mamma inorridita, e allora si portava da casa un secchio o un cesto per mettere i pesci. Ma appena lei voltava gli occhi il pesce andava a finire nel solito scarpone, e quando la sera tornavamo a casa Barba Gaspe aveva gli scarponi bagnati. Per fortuna d'inverno e d'estate portava calze grosse di lana fatte con i ferri dalle sue donne: non aveva i reumatismi. La sera, con gli amici italiani che venivano a giocare a carte, papà si vantava esagerando la misura dei pesci che aveva pigliato. Però, a rigore del vero, certe volte papà e Barba Gaspe portavano a casa pesci di scoglio, scarpine, gronghi, qualche cernia e anche aragoste rosate. Quando prendevano un'aragosta, la portavano a casa in un sacco bagnato; poi veniva liberata in cucina, sotto una sedia o sotto la tavola in attesa che la mamma mettesse una grande pentola sul fuoco. Noi bambini andavamo ad ammirarla e ci divertivamo a stuzzicarla con una bacchettata, quindi assistevamo alla sua morte lenta, sì, perché l'aragosta viene legata e immersa viva nell'acqua bollente, e morendo fa un cigolio sommesso, come un lamento. INIZIA LA GUERRA Papà, richiamato col grado di capitano, fu posto al comando di una batteria costiera a Fasana. In gran segreto, lui ci aveva detto che fuori dall'abitato c'erano cannoni e mitragliatrici nascosti in caverne, protetti da muretti e sacchi di sabbia. A Pola papà aveva preso in affitto un appartamento in via Sergia; lo abitavamo io e Giara perché lei potesse frequentare la Scuola Professionale: si era rifiutata di restare in collegio dalle suore. Ma non studiava, andava al campo sportivo e si dava arie da atleta; però non le interessava né lo sport né la scuola, a lei interessavano solo i ragazzi. L'attendente di papà veniva mandato spesso a Pola. Quando poteva farlo, lui modellava con sughero e cuoio degli zatteroni che allora andavano di moda. Io e Giara glieli facevamo comprare dalle nostre amiche; per ricambiare lui ci portava pagnotte fresche e carne che prendeva dalle cucine del reparto. Quando ottenne un permesso, una domenica papà tornò a Valmazzinghi. Parlò della sua vita militare e ci disse anche del suo aiutante, il sottotenente Mozzati: un ragazzo in gamba che dimostrava di avere idee chiare sulla politica. L'indomani papà mi avvertì che a mezzogiorno avrebbe mangiato a Pola con me e Giara; aggiunse che ci sarebbe stato anche il sottotenente Mozzati. Questo mi rese molto inquieta: avevo visto l'aiutante di papà solo una volta, come mi sarei vestita e come avrei potuto preparare un pranzo accettabile? Mia cugina Maria mi aiutò e riuscii a cucinare le tagliatelle e l'arrosto con le patate. Mi lavai i capelli, e Maria mi prestò una fascia blu da mettere in vita sul mio vestito azzurro. Papà e il sottotenente Mozzati arrivarono e presero posto a tavola; anche Giara si sedette. Io servii il pranzo e loro mangiarono con grande appetito. Era andato tutto bene e il sottotenente mi aveva guardato con ammirazione: ero compiaciuta. Dopo il pranzo papà si fece serio e disse: "Qualcuno ieri alla mensa ufficiali ha osservato che gli Italiani non vogliono il fascismo. Ma se non volevano il fascismo e la guerra dovevano pensarci prima; ora ne siamo tutti responsabili. Certo le cose non vanno bene e bisognerà rimediare, anche se sarà necessario fare un'altra rivoluzione." "Io voglio schierarmi tra coloro che la faranno" esclamò il sottotenente. "Per il momento dobbiamo portare pazienza: prima bisogna vincere la guerra" disse mio padre. La settimana seguente papà invitò la mamma a visitare Fasana. Si sarebbero incontrati a Pola. La mamma andò con l'abito elegante e il cappello di paglia. Partirono su una bicicletta sgangherata: lui alla guida e lei seduta sulla canna. Lungo la strada piena di buche, caddero in una curva e l'abito elegante della mamma si strappò. IL 1942 Una sera ero da Gina Savron, la mia vicina di casa. Suo marito rincasò brontolando. "Quando si mangia? Io ho fame! Oggi alla mensa c'era brodaglia e una fettina di sanguinaccio; mi è rimasto un gran vuoto nello stomaco." "Se speri di riempirlo stasera ti sbagli! Il burro, l'olio e il lardo li ho finiti da un pezzo. Sono andata dal salumiere e alle mie proteste ha detto che gli approvvigionamenti sono in ritardo a causa delle bombe. Per condire la minestra ho usato un pezzetto di cotica; le patate e i fagioli sono finiti dall'altro giorno e al mercato non ce n'erano; ho potuto rimediare due rape." Di giorno in giorno l'umore di tutti peggiorava per la mancanza di viveri. Gli aerei bombardavano e le notizie che filtravano dai vari fronti erano preoccupanti nonostante il tono trionfale dei Bollettini di Guerra. Arrivavano telegrammi dal Ministero della Guerra alle famiglie dei militari caduti e cartoline dai militari prig i o n i e r i . Da mio cugino G i l - d o r i - cev o u n a cartolina dall'Africa, dove è prigioniero. E poi una cartolina da mio cugino Vito: marinaio su un incrociatore silurato da un aereo nemico, era rimasto trentasei ore in mare aggrappato a un rottame prima di essere raccolto da un cacciatorpediniere inglese. Una sera papà tornò dal Circolo Ufficiali sgomento: "Quel tenente Dagradi! Approfittando dell'assenza del colonnello, ha intercettato Radio Londra mentre trasmetteva il notiziario in italiano. Radio Londra diceva che l'intervento dell'America, con la sua enorme potenza, cambierà le sorti della guerra. L'ascolto di Radio Londra è proibito e io sono preoccupato perché in quel momento ero l'ufficiale di grado più alto. Se lo viene a sapere il colonnello Rebuffi, passo guai grossi!" Due giorni dopo ci disse: "Per mia fortuna nessuno l'ha informato!" Fui chiamata per una supplenza a San Lorenzo al posto della maestra Locascio, a casa per maternità. (Le colleghe si chiedevano come poteva essere, visto che il marito più di un anno prima era stato preso prigioniero!). Nell'ultimo anno delle magistrali avevo fatto il tirocinio al giardino d'infanzia, con la presenza della maestra titolare. Ora mi trovavo sola davanti a venti bambini che sgranavano gli occhi. Domandai: "Sapete che giorno è domani?" Ripetei la domanda in croato. Rimasero sorpresi. Poi una bambina bionda e robusta alzò la mano e gridò: "San Martino!" Allora raccontai la leggenda di San Martino, traducendo in croato le parole che loro forse non conoscevano. Andai alla lavagna e con i gessetti colorati - me li ero portati da casa - disegnai un cavaliere, San Martino, che dà il suo mantello al mendicante che trema per il freddo. I bambini sorrisero e mi fecero tante domande. Quando lo raccontai a papà lui osservò: "Speriamo che non venga a saperlo il Direttore Didattico! Non sapevi che è proibito usare la lingua croata a scuola?" Qualche giorno prima del Natale ricevo una lettera che viene dal fronte dell'Africa Settentrionale, dove le truppe italiane e tedesche si sono ritirate fino a Tunisi. La lettera è di Orlando Bordoni, un mio compagno all'Istituto Magistrale. Dice: "Qui i civili sono ottimisti, si aggrappano a ogni voce vera o falsa, pur di mantenere in vita la loro fiducia nella vittoria. Chi viene dalla prima linea non guarda con speranza l'avvenire. Per chi combatte, la speranza è arrivare vivo al momento in cui sarà fatto prigioniero. I civili invece temono di veder mutare in prigionia il loro stato attuale di libertà. Non si tratta, dunque, di maggiore amor di patria, bensì di convenienza." Queste parole mi sorprendono: contrastano con il grande entusiasmo che lui aveva quando si è arruolato volontario due anni prima. IL 1943 Venne anche il 1943. Quella fu l'ultima Pasqua a Valmazzinghi; c'eravamo tutti, anche papà in permesso da Fasana, e io e Giara da Pola. Sin dal mattino la mamma aveva preparato i secchi di pasta da far lievitare per le pinze pasquali. Più tardi le avrebbe sfornate, tante, per soddisfare tutti. Aveva fatto anche la sfoglia per le tagliatelle, e l'arrosto di capretto. Gioiva della festa che i suoi sei figli, non ancor sazi, facevano all'apparire delle pinze. Ma la vedevo esausta: non aveva toccato neppure un briciolo dell'arrosto di capretto. La sua capra Tempesta, gravida, due settimane prima aveva strappato la corda che la legava a un albero e se n'era andata nel folto del bosco. Nel bosco la corda si attorcigliò a un cespuglio e si strinse al suo collo. Barba Gaspe l'aveva trovata con gli occhi dilatati e l'aveva sciolta; preso in braccio il capretto appena nato, l'aveva riportata a casa. Mia madre aveva capito che Tempesta era andata là per partorire. Dopo quello che era successo, mangiare il suo capretto le sembrava un sacrilegio. La guerra, finora lontana, si avvicinava: gli Alleati erano sbarcati in Sicilia il 10 luglio. I giornali scrivevano che una vampata di patriottismo avrebbe indotto i Siciliani a unirsi ai nostri soldati per respingere gli invasori, rinnovando la gloria dei Vespri Siciliani. Silvano Sincovich, un nostro amico che era in Sicilia in un reparto di mitraglieri, ci scrive: "Ho chiesto ai soldati siciliani se la città di Augusta è difendibile", "Difendibile?" mi hanno risposto "Con i cannoni di legno? Come quelli sistemati sulle coste di tutta l'isola! Questo può ingannare noi, non gli Anglo- Americani!" La sera del 25 luglio ho in mano il giornale. Leggo ad alta voce le recensioni dei film: "Giacomo l'idealista" di Lattuada, tratto dal romanzo di Emilio De Marchi del 1897; poi "Un colpo di pistola", regia di Castellani; e "Ossessione" di Visconti. Razioni alimentari: Grassi suini, olio, burro: 400 grammi al mese, divisi in 4 tagliandi della tessera annonaria. I tagliandi si consegnano nei negozi. Pane: 150 grammi al giorno. La mamma mi interrompe: "II pane non si può mangiare: è più duro di un sasso. Sapete, a Pola ai piedi della statua di Augusto una mattina hanno trovato un panino con un biglietto: “Adesso che gh'avemo l'Impero, magnitelo ti che ti ga el stomego de fero!”. Norme di comportamento in villeggiatura: E' vietato alle orchestrine di suonare all'aperto. E' vietato alle donne di circolare in pantaloni corti o lunghi. E' vietato agli uomini di circolare in pantaloni corti o in mutandine da bagno. E' altresì vietato tenere contegno contrario alla morale: pena tre mesi di arresto e 3.000 lire di multa. Tutti i miei fratelli protestano. Interrompo la lettura perché la radio diffonde il comunicato del Re. Arresto del Cavalier Mussolini e pieni poteri al Maresciallo Badoglio. Papà è sdegnato: "La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari, specie a un militare borioso e avido come Badoglio! Non ci si può attendere nulla di buono". Nei giorni seguenti, per ordine di Badoglio, sui giornali c'erano colonne bianche: articoli tagliati dalla censura. I bollettini di guerra erano scritti non più in tono trionfale (avanzate fulmi

Dal numero 3288

del 31/08/2007

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